Stufe a legna o pellet? Rischi multe fino a 5.000 Euro

Scritto da Omar Cecchelani il 15 Ottobre 2025 in Immobili News

Se hai installato una stufa a pellet o ti riscaldi con caminetti e stufe a legna, rischi una multa fino a 3.000 euro. Non è la solita sparata per fare paura: si sente spesso parlare di ipotesi di divieti o di restrizioni — e c’è chi teme che l’Unione Europea voglia vietare caldaie e stufe a pellet perché “inquinano” — ma la cosa concreta è che esistono già norme e controlli severi sulle emissioni, e non rispettarle può costare caro, specie se hai fatto tutto “regolarmente” fino a oggi.

Dal 2022, con la fine dell’emergenza Covid e lo scoppio della guerra in Ucraina, c’è stato un vero e proprio boom di stufe a pellet: il gas è diventato proibitivo, quindi tante famiglie hanno cercato un’alternativa che consumasse meno e diminuisse la dipendenza dall’approvvigionamento esterno. Il pellet è stato scelto anche perché dà un buon potere calorifero e — se usato e mantenuto bene — può risultare meno inquinante rispetto ad altre soluzioni.

multe stufe a pellet o legna

Però attenzione: il risparmio che vedi in bolletta può svanire in fretta se la normativa non viene rispettata. La stufa a pellet è molto pratica, non richiede l’investimento iniziale di una pompa di calore e riduce i consumi rispetto a certe caldaie a gas. Ma proprio per questo chi decide di abbandonare i metodi tradizionali si scontra con una burocrazia rigida e con regole precise sulle emissioni dei fumi — e se abiti in condominio la questione si complica ulteriormente.

La parola chiave è manutenzione: una stufa installata male e trascurata aumenta emissioni e rischi. Canne fumarie intasate, pulizie saltate, certificazioni mancanti o installazioni non a norma possono trasformare un risparmio in una sanzione o in un problema peggiore. Ora che la stagione fredda è alle porte, è il momento di capire cosa impone la legge per evitare multe fino a 3.000 euro.

 

Stufa a pellet in condominio: regole e quando si può installare

Partiamo da un punto chiaro: la stufa a pellet è una soluzione che piace a molti, consuma poco, scalda bene, è pulita e costa meno del gas. Ma se vivi in condominio, entri in un terreno minato, perché non tutto quello che vuoi fare è permesso e le regole sono tante, rigide e spesso poco chiare. Non significa però che devi rinunciare al tuo diritto di cambiare sistema di riscaldamento, anzi, la legge lo prevede.

Il Codice Civile dice chiaramente che il condomino può rinunciare all’impianto centralizzato, a patto che il distacco non crei squilibri di funzionamento o spese aggiuntive per gli altri. In pratica, puoi scegliere un riscaldamento indipendente come la stufa a pellet, e nessuno può vietartelo. I dettagli di come fare a staccarsi dal riscaldamento centralizzato li ho spiegati in un video che ti lascio in descrizione.

Certo, il condominio può pretendere che tu rispetti le regole e le leggi, ma non può impedirti di installarla nella tua proprietà privata, tranne nei casi in cui esista un regolamento contrattuale, cioè quello fissato dal costruttore originale dell’edificio.

In teoria anche l’assemblea condominiale potrebbe decidere per un divieto, ma solo se c’è l’unanimità: basta un condomino contrario e la cosa cade. Il punto vero è che anche se hai il diritto di installarla, devi stare attentissimo a non arrecare danno agli altri e a rispettare ogni prescrizione tecnica e ambientale.

 

Le regole della stufa a pellet in condominio

Installare una stufa a pellet in condominio non è come mettere un quadro al muro. Devi rispettare leggi nazionali, regolamenti comunali, vincoli edilizi e persino norme ambientali locali. Si parla di scarichi fumi, distanze minime da pareti e balconi, caratteristiche della canna fumaria e perfino della stufa stessa. In linea generale è raccomandata la canna fumaria esterna, e il regolamento condominiale non può vietartela a meno che non comprometta sicurezza o decoro dello stabile.

Ma ci sono anche obblighi precisi: ogni stufa deve avere una canna fumaria autonoma, le stufe su piani diversi devono avere comignoli distanti almeno 50 centimetri, e lo sbocco dei fumi sul tetto deve trovarsi lontano da pannelli solari o antenne, ad almeno un metro dal colmo del tetto.

E non basta: per installarla devi presentare la CILA, cioè la comunicazione di inizio lavori asseverata, e serve un tecnico specializzato che dichiari la conformità dell’impianto. Una dimenticanza, una scorciatoia, e ti ritrovi sanzionato come se avessi costruito abusivamente.

 

La normativa relativa a stufe e camini

Ed è qui che arriva il punto più critico: in molte regioni del Nord, accendere una stufa o un camino può costarti caro. Parliamo di multe fino a 5.000 euro. La Lombardia è la più severa: vieta l’uso di generatori di calore con meno di quattro stelle e punisce chi li accende.

Camini, stufe, termostufe, tutto ciò che brucia legna o pellet con una classificazione bassa è bandito. Dal 2020 non puoi più installare generatori a biomassa legnosa con prestazioni emissive non conformi.

Dal 2018, se hai una stufa sotto i 35 kW, devi usare solo pellet certificato, con tanto di certificato di un ente accreditato.

Dal 2024 poi, è scattata un’ulteriore stretta: chi vive sopra i 300 metri di altitudine potrà usare solo generatori da almeno 4 stelle con emissioni non superiori a 20 milligrammi per metro cubo, mentre sotto i 300 metri il limite scende a 15.

In Veneto la musica è simile: dal 2019 non si possono più installare generatori sotto le 4 stelle e usare quelli con meno di 3.

L’Emilia-Romagna vieta l’uso di stufe di classe 1 o 2 sotto i 300 metri nei comuni più inquinati e impone la registrazione al CRITER, mentre in Piemonte già dal 2018 è proibito installare apparecchi sotto le 3 stelle e dal 2019 il limite è salito a 4. La Toscana, infine, ha introdotto l’obbligo di registrare camini e stufe a biomassa.

Ovunque, la logica è la stessa: controlli serrati e sanzioni salate. In Lombardia si va da 500 a 5.000 euro di multa, in Veneto ci sono incentivi per chi cambia impianto con uno più “verde”, ma la sostanza non cambia.

Chi si riscalda con stufe o camini tradizionali viene visto come un nemico dell’ambiente, anche se magari lo fa solo per risparmiare o per necessità.

 

Pellet, se sbagli dove getti la cenere sono 300 euro di multa

E non finisce qui, perché anche la cenere del pellet, che a tutti gli effetti è un prodotto di scarto, può diventare un problema se smaltita male. Sembra incredibile, ma è così: basta buttarla nel bidone sbagliato per rischiare una multa da 300 euro.

La cenere derivata dal pellet è uno dei residui meno inquinanti che ci siano, anzi, è pure utile: molti la riutilizzano per concimare i terreni, e in effetti è un ottimo fertilizzante naturale. Ma questo non significa che puoi liberartene come ti pare. Le regole parlano chiaro: va smaltita correttamente, e in molti comuni deve finire nel bidone dell’umido, ma solo dopo che si è completamente raffreddata, perché anche una piccola brace rimasta accesa può riattivarsi e provocare incendi.

In tanti, per sicurezza, usano i bidoni aspiracenere, che sono l’unico modo corretto per raccoglierla senza rovinare l’aspirapolvere di casa. E se non hai un orto o un giardino dove riutilizzarla, puoi metterla in un sacchetto a parte e poi gettarla nell’umido, rispettando le regole comunali.

Il problema è che molti la buttano nell’indifferenziato, e qui si rischia davvero grosso. Perché ormai gli addetti alla raccolta dei rifiuti hanno dispositivi in grado di analizzare il contenuto dei sacchi, e se trovano materiale errato, scatta la segnalazione. E le multe arrivano dritte a casa, fino a 300 euro. E bada bene: non tutti i pellet sono uguali, perché quelli di scarsa qualità possono contenere leganti chimici, ma se usi un buon prodotto naturale puoi davvero riutilizzare la cenere anche per pulire pentole, forni o addirittura per evitare che i viali di casa ghiaccino, mescolandola al sale. Quindi da risorsa naturale rischia di diventare un incubo burocratico, dove sbagliare secchio ti costa caro.

 

Come mettersi in regola e quali verifiche fare

Prima di accendere la stufa o il camino, devi assolutamente accertarti che l’impianto sia a norma. Non basta che funzioni bene o che scaldi: serve che rispetti la classe emissiva imposta dalla tua regione. In alcune aree bastano 3 stelle, in altre ne servono 4 o più, altrimenti rischi una multa immediata. Serve anche la dichiarazione di conformità rilasciata dall’installatore, documento che va spesso depositato al Comune o al catasto degli impianti termici. E se non lo fai, anche lì rischi di trovarti un verbale da migliaia di euro.

Ma non finisce qui, perché ogni anno devi fare la manutenzione, controllare la canna fumaria, verificare i fumi, tutto secondo le norme UNI e CEI. Se salti anche solo uno di questi passaggi, la sanzione può arrivare fino a 3.000 euro, e a volte anche l’installatore viene multato se non ha rispettato i protocolli. Quindi conservare ogni documento, certificato e libretto aggiornato è fondamentale per evitare guai. E se pensi che “tanto non controllano”, sappi che in molti comuni i controlli a campione li fanno davvero, soprattutto nei periodi di blocco del traffico, quando cercano di colpire chi inquina di più.

Insomma, tra catasti, certificazioni, stelle, filtri, controlli e divieti, accendere una stufa è diventato quasi come avviare una centrale elettrica.

 

Tante regole, tante restrizioni, ma chi paga?

E qui arriviamo alla verità che nessuno dice. Tutte queste regole, queste restrizioni, questi numeri sulle emissioni, sembrano avere un solo obiettivo: eliminare, passo dopo passo, le stufe a pellet e il riscaldamento a legna.

Non lo fanno in un colpo, ma ti stangheranno con multe, certificazioni, vincoli e burocrazia fino a quando la gente si arrenderà. Tutto in nome del “green”, della lotta all’inquinamento, come se il pellet fosse il problema principale del pianeta. Ma poi guardi cosa promuovono: pompe di calore costosissime, sistemi elettrici che pesano sulla rete, incentivi a chi compra ciò che vogliono loro. E intanto in estate ci ritroviamo con i blackout, le reti che saltano, i condizionatori spenti. Ma la colpa, ovviamente, è sempre del pellet e della legna, secondo gli espertoni dell’Unione Europea.

   

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